lunedì 23 febbraio 2009

E Mussolini creò la Marina d' Israele.

Riprendo il mio progetto di rendere più conosciuto il rapporto tra la Destra Italiana e gli Israeliti, prima che l' ostracismo cieco ed ignorante della Società delle Nazioni costrinse Mussolini, fino ad allora fortemente critico verso il nazionalsocialismo, a gettarsi in quell' anomala alleanza con Hitler che fu sancita dalle inique Leggi Razziali del 1938.
Fino ad allora, come abbiamo visto e vedremo, i rapporti con gli Italiani Israeliti, sia Risorgimentali che successivi alla Prima Guerra Mondiale furono strettissimi e cordiali. Tantissimi Italiani Israeliti furono Fascisti, con orgoglio e partecipazione.

Una pagina assai poco conosciuta di Storia Italiana è quella rappresentata dalla nascita della Marina d' Israele. Nata nel 1934 per volere di Benito Mussolini a Civitavecchia su richiesta di Vladimir Zeev Jabotinsky, uno dei leader della Destra Ebraica del Novecento che studiò anche a Roma, fondatore del Partito Revisionista che fu nazional-liberale ed anticomunista, oggi fuso nel Likud, su consiglio e segnalazione di uno dei responsabili della cellula giovanile italiana del partito, il Bethar, Maurizio Mendes.
Purtroppo oggi è veramente arduo trovare qualche libro sull' argomento; il principale, scritto da Leone Carpi nel 1965, "Come e dove rinacque la Marina d' Israele", è stranamente introvabile. Dico stranamente perchè in Italia qualcuno, evidentemente,non gradisce che si faccia luce sul comportamento del Fascismo nei confronti degli Israeliti ante 1938. Ma anche uno storico locale, Enrico Ciancarini e Renzo de Felice hanno scritto a riguardo.
Fu nell' Ottobre del 1934 che giunsero nella cittadina laziale i primi allievi ufficiali da ogni parte del mondo, per essere addestrati con perizia; all' inizio furono 28, arrivando successivamente a quasi 200 diplomati in tre anni. I corsi erano in italiano, lingua imparata in fretta dagli allievi, i quali sulle uniformi portavano un' ancora, la Menorah (il candelabro simbolo anche del Bethar)ed il Fascio Littorio Fascista, ed in alcune cerimonie ufficiali salutavano Romanamente,come ricordato dall' allora Capogruppo Avram Blass, successivamente divenuto Ammiraglio della Marina Israeliana.
Nel 1936 partì il Secondo Corso, davanti a nientepopodimeno che il Rabbino Capo di Roma, Sacerdoti, questo se i miei Fratelli Israeliti antifascisti italiani me lo concedono... Con moltissimi Israeliti Polacchi,sempre sotto gli ordini del Capitano Fusco, che seguirà anche il Terzo ed ultimo Corso del 1937. Nel frattempo era stata acquistato anche un veliero a motore da 60 metri, il "Quattro Venti", ribattezzato "Sarah I°", che nell' estate di quello stesso anno fece rotta verso la Palestina, dove fu accolta con moltissimi festeggiamenti dalla comunità ebraica. Era il primo mercantile della Storia Moderna d' Israele.
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Leggasi anche Renzo de Felice: "Storia degli Ebrei sotto il Fascismo". Capitolo "Il sionismo e la Politica Estera Fascista". Dove lo storico afferma che, senza il cambiamento della politica estera Italiana, la collaborazione sarebbe stata estesa al campo aeronautico e militare.
Un libro commissionato a De Felice espressamente dalla Comunità Israelita nel 1961, e che molti Italiani dell' Antico Testamento, che si ostinano ad incapponirsi con l'antifascismo, farebbero bene a leggere.

domenica 1 febbraio 2009

Non si può essere Cattolici e Negazionisti.

Come ho cercato di spiegare in "Santosepolcro", la posizione della Chiesa e del Santo Padre nei confronti del Negazionismo è sempre stata chiara e netta, e cioè di mera condanna. Le strumentalizzazioni mediatiche di questi giorni mi costringono ad un piccolo sunto di storia a riguardo i Cattolici in Germania all' avvento del nazionalsocialismo; nella convinzione assoluta che i Cattolici avrebbero seguito gli Israeliti nei Campi di Concentramento.
Nei mesi immediatamente susseguenti la presa del potere nazionalsocialista in Germania,si contrappose una forte tensione a livello locale, dove le autorità di partito «consideravano, come prima, il Cattolicesimo come uno dei loro nemici principali, da dover costringere con la forza bruta al livellamento e alla rinuncia della propria esistenza autonoma». I primi sacerdoti della diocesi di Ratisbona a essere arrestati furono Eugen Bauer, parroco di Schwarzhofen, e Joseph Breu di Posing, tradotti in carcere dopo che le loro abitazioni erano state prese d’assalto da una folla inferocita e i vetri delle finestre ridotti in frantumi. Tra la fine di giugno e la prima decade di luglio furono arrestati nella diocesi di Spira ventuno sacerdoti, sei dei quali maltrattati in carcere; tra questi Heinrich Wildanger fu condotto alla prigione di Spira con un cartello appeso al collo sul quale era scritto: «Da anni istigo dal pulpito contro i nazionalsocialisti»; altri ventisei sfuggirono all’arresto rifugiandosi nel vicino Baden. Contro la canonica di Zell furono esplosi cinque spari e lanciate delle pietre. Quella di Stetten fu fatta oggetto di un attentato con esplosivo. Questo stato di tensione venne giustificato dal presidente provinciale del Palatinato, Osthelder, con «esplosioni dell’umore popolare» dovute ad «affermazioni e azioni istigatrici di singoli sacerdoti cattolici, specialmente nella lotta per il mantenimento della scuola confessionale».Nel loro svolgimento queste dimostrazioni seguivano un copione fisso: l’«umore popolare» veniva aizzato nel corso di un’assemblea, a conclusione della quale alcune centinaia di persone, per lo più membri delle organizzazioni paramilitari di partito, venivano distaccate davanti all’abitazione della vittima di turno, la quale veniva minacciata e insultata per ore, prima che intervenisse la polizia e l’arrestasse «per la sua sicurezza». Spesso la «sensibilità popolare» provvedeva a rendere ancor più manifesto il proprio «cattivo umore» distruggendo le finestre della canonica o dell’abitazione del sacerdote oggetto della dimostrazione. La nota diplomatica del Segretario di Stato vaticano, Cardinale Pacelli, datata 31 maggio 1934, sottolineava come questo cosiddetto «stato d’animo di massa» non fosse altro che «il frutto portato con metodicità a maturazione» della propaganda di organi dello Stato tendente a presentare i cattolici tedeschi come «nemici di principio, oppositori dell’unità o peggio ancora». Pacelli affermava inoltre che non corrispondeva «ai princìpi di una guida autoritaria dello Stato, la quale agisce di propria responsabilità, richiamansi ad un umore di massa formatosi in maniera così singolare. Lo “stato d’animo” sarebbe stato presto superato, se soprattutto la stampa delle organizzazioni favorite dallo Stato, guidate centralmente, avesse cessato di attizzarlo sempre di nuovo».A Traunstein (Alta Baviera) il «sentimento popolare nazionalsocialista» diede sfogo alla propria irritazione nei confronti del parroco Stelzle frantumando i vetri di sei finestre della canonica. La situazione si aggravò in seguito a una predica dello stesso sacerdote contro il neopaganesimo nazionalsocialista, pronunciata il 6 gennaio 1934; come riferisce un rapporto del comandante della Polizia Politica, a causa «della conseguente irritazione della popolazione, lo Stelzle, per la sua sicurezza personale, dovette essere arrestato». In seguito al rifiuto dell’Ordinariato di accogliere la richiesta di trasferimento di Stelzle ad altra parrocchia formulata dal Ministero del culto bavarese, il 24 aprile la canonica fu fatta oggetto di un attentato con esplosivo. L’arcivescovo Faulhaber elevò sulla parrocchia di Traunstein un mini-interdetto, vietando cioè la celebrazione di sante Messe solenni, nonché il suono delle campane e dell’organo. Nuovi tumulti si ebbero quando membri del Partito penetrarono in chiesa e suonarono essi stessi le campane: in un tentativo di difesa il curato Mayer rimase leggermente ferito. La linea dura di Faulhaber si rivelò infine vincente, e a Stelzle fu permesso di ritornare a Traunstein.Josef Schabl e Johann Babl, rispettivamente parroco e curato del villaggio di Pilsting (Diocesi di Ratisbona, 1128 abitanti) erano particolarmente invisi alle autorità statali e di Partito per la loro conclamata avversione al nazionalsocialismo. Per convincere l’Ordinariato vescovile a trasferirli, il presidente provinciale Holzschuher e il Kreisleiter della Nsdap (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori), Krahmer, organizzarono una spedizione punitiva nei confronti dei due sacerdoti. I partecipanti a quest’azione ventidue S.S. da Landshut, otto S.S. da Dingolfing e dodici S.A. da Eggenfeld, oltre a tre soli abitanti di Pilsting attesero che il parroco rincasasse e, verso le ore 0,15, lo aggredirono, lo malmenarono e quindi lo trasportarono a Ratisbona. La medesima sorte toccò a Babl, il quale rimediò anche una ferita all’occhio dovuta alla frantumazione degli occhiali. In seguito la «folla irritata», come la definisce Holzschuher nel suo rapporto dell’8 dicembre, distrusse oltre duecento finestre della canonica. Le indagini su questi fatti, condotte dal procuratore di Landau, Gottlieb Kestel, non tardarono a evidenziare le responsabilità delle autorità locali. Holzschuher protestò per una conduzione delle indagini, a suo dire «unilaterale e dannosa per lo Stato». Nonostante i «fenomeni collaterali» conseguenza della manifestazione, scriveva il presidente provinciale, «non sarebbe conciliabile con la sana sensibilità popolare se dei compagni di partito finissero davanti al giudice accusati di gravi reati per aver espresso l’opinione popolare, anche se in un modo tipicamente basso-bavarese e forse un poco rozzo. contro due sacerdoti che da sempre hanno agito da nemici dello Stato e che hanno istigato il popolo fino alle estreme conseguenze». Il 17 giugno 1938 il procedimento venne sospeso per ordine del Ministro della Giustizia. Esso fu riesaminato nel 1947 e condusse alla condanna di Holzschuher e Krahmer a un anno di reclusione ciascuno, e di altri imputati a pene minori.
I rapporti governativi bavaresi denunciano come la maggior parte dei voti contrari espressi in occasione del plebiscito relativo alla riunificazione dell’Austria al Reich fossero da ricondurre alla «sempre presente influenza del clero sulla popolazione». Mancando tuttavia le garanzie di segretezza del voto, coloro che votavano negativamente venivano fatti oggetto delle attenzioni della «sana sensibilità popolare». Viene infatti riferito da Ratisbona che i 22 voti negativi su un totale di 467 votanti della località di Köfering (Distretto di Ratisbona) erano stati provocati dal parroco locale Alois Krön, «noto come agitatore», contro la cui abitazione la sera del 10 aprile furono gettate pietre e una bomba-carta. Al voto negativo del parroco di Reisbach (Distretto di Dingolfing), Maximilian Stangl, il popolo nazionalsocialista rispose innalzando una forca sulla piazza del mercato e appendendovi un fantoccio rappresentante un sacerdote. Contemporaneamente in paese apparvero cartelli che accusavano Stangl e la sua collaboratrice domestica di essere «traditori del popolo». Da Ansbach (Media Franconia) viene segnalato il caso dell’arciprete Gotz di Ornbau (Distretto di Feuchtwangen), il quale non aveva fatto suonare le campane la sera precedente il plebiscito nonostante l’ordine vescovile. Sulla canonica e sulla casa del curato apparvero scritte offensive, e furono distrutte a colpi di pietre cinque finestre.Il parroco di Fellbach (Diocesi di Rottenburg, Württemberg), Richard Sturm, riferiva in una lettera al proprio Ordinariato che dopo il suo voto negativo al plebiscito, la sera del 10 aprile, un reparto di S.A. e di S.S. aveva assalito la canonica, ridotti in frantumi i vetri delle finestre a colpi di pietre e malmenato il suo vicario, sebbene «avesse votato giusto». Racconta Sturm: «Fui afferrato e condotto davanti alla porta del giardino, dopo di che si cominciò a girare per Fellbach gridando slogan per circa un’ora e mezza. Venivo continuamente spinto da dietro e di lato, così che caddi a terra tre, quattro, cinque volte. Fui colpito al volto, specialmente alla mascella. Mi sputavano in viso, e lo slogan era generalmente questo: “Ecco qui il traditone del popolo, parroco Sturm”. Per queste spinte e cadute andarono perduti e rotti i miei occhiali. Per tutto il tempo mi fu illuminato il volto con una lampada elettrica, così che non potevo vedere nulla. Veniva suonato uno squillo di tromba per attirare la gente».Il vescovo di Rottenburg, Johannes Maria Sproll, non si recò alle urne, affermando di essere favorevole all’unificazione dell’Austria at Reich, ma di non votare la lista unica per il Reichstag, come sempre unita al quesito plebiscitario. La sera successiva una nutrita schiera di manifestanti, istigata contro il vescovo in un’assemblea tenuta nella Sporthalle, giunse davanti al palazzo vescovile, e dopo aver gridato per circa un’ora e un quarto slogan e ingiurie nei confronti di Sproll penetrò nell’edificio e tolse la bandiera con la svastica dal pennone del palazzo. La magistratura e gli organi di Polizia rifiutarono di proteggere Sproll in quanto «vescovo non-tedesco», non prestando ascolto alle denunce e alle pressanti richieste di aiuto da parte dell’Ordinariato. La sera di venerdì 15 aprile un centinaio di persone si radunò nuovamente davanti al Palazzo vescovile gridando: «Fuori il traditore del popolo», «mandatelo a Mosca», «il vescovo merita di essere fucilato» e «impiccate i giudei, mettete il vescovo al muro» .Dopo aver trascorso due mesi fuori sede, per ordine della Santa Sede Sproll ritornò a Rottenbung, e il 15 luglio ne fece comunicazione al Luogotenente del Reich Murr. La sera del 16 luglio un centinaio di persone raccoltesi sotto il palazzo vescovile scandì slogan per circa un’ora, poi sfondarono le porte d’ingresso e penetrarono all’interno dell’edificio. La folla salì le scale, divelse porte, mise a soqquadro le stanze private e gli uffici del vescovo, danneggiando mobili e riducendo le finestre in frantumi. Rifiutando il vescovo di abbandonare Rottenburg, due giorni dopo vi fu una nuova manifestazione cui parteciparono circa duemila persone. Non vi fu alcun tentativo di penetrare all’interno del palazzo, e dopo gli insulti di rito, con i quali «il vescovo fu indicato come traditore del popolo, zingaro nero, figlio di […], ed espressioni simili», la manifestazione si concluse con un comizio, anch’esso condito di insulti e minacce nei confronti di Sproll.
Il 23 luglio, per la terza volta in otto giorni, una folla minacciosa si radunò davanti al palazzo vescovile. La manifestazione iniziò alle 21 con i soliti slogan contro il vescovo, uniti a grida, a fischi e agli ululati di alcune sirene antiaeree. Riferisce un rapporto della Gestapo di Stoccarda: «Sul lato sinistro del palazzo furono squarciate le porte di ferro che davano sul giardino e abbattute le porte di legno che conducevano al pianterreno. Armati di bastoni e di asce circa cento-centocinquanta dimostranti penetrarono nel palazzo, distrussero numerose porte chiuse, specialmente quelle che impedivano loro l’accesso ai piani superiori. Nella cantina vasi per conserve pieni furono gettati contro le pareti, contenitori pieni di uova furono rovesciati, bottiglie di vino furono aperte a forza e il loro contenuto bevuto, dai locali della cancelleria furono gettati documenti dalle finestre. In una stanza del secondo piano un letto fu messo a fuoco, ma prima che i mobili di quella stanza e l’intero palazzo fossero divorati, il fuoco fu scoperto da un funzionario della Gestapo e spento con l’aiuto di un’inquilina del palazzo». Il tardivo intervento della Polizia Politica riportò la calma sul campo di battaglia. In seguito la stessa Gestapo di Stoccarda riferì alla centrate di Bertino che la popolazione di Rottenbung aveva assunto un atteggiamento ostile nei confronti dei dimostranti e della Polizia, quest’ultima accusata di non aver fatto nulla per prevenire e sedare gli incidenti. Gli omnibus che riportavano a casa i dimostranti furono oggetto di lanci di pietre; attorno al palazzo vescovile si radunarono dai trecento ai cinquecento fedeli che resero omaggio al vescovo. Dopo questi incidenti il Luogotenente del Reich e Gauleiter Murr ottenne da Hitler un decreto di espulsione del vescovo dal Württemberg. Solamente a guerra terminata Sproll avrebbe fatto ritorno a Rottenburg.L’ondata di violenza passata alla storia come la «notte dei cristalli» non era diretta esclusivamente contro il «giudaismo mondiale», bensì anche contro «i suoi alleati rossi e neri», come si leggeva nell’appello del ministro degli Interni bavarese, Wagner, pubblicato su tutti i giornali. Attorno alle 21,45 dell’11 novembre, Faulhaber, arcivescovo di Monaco, vide avvicinarsi colonne di camion e una decina di motociclette che, accompagnate «da luci accecanti e ululati di sirene», si arrestarono davanti all’appartamento dell’arcivescovo. Dalla strada si elevò un assordante baccano, «e meno di due minuti dopo le prime pietre cozzarono contro i vetri delle finestre e contro le imposte, alcuni dei quali rimbombarono come colpi di cannone. In seguito iniziò con un forte ululato un martellante lancio di pietre contro le otto finestre a pian terreno e contro le nove finestre al primo piano sul lato della strada. I vetri caddero tintinnando in parte nella cavità tra le due lastre della finestra invernale e in parte anche in fuori sulla strada, e in meno di mezz’ora furono distrutte circa cento finestre, compreso il vetro della cappella con lo stemma vescovile. Poiché nella casa vicina erano in corso lavori di ristrutturazione, pietre e mattoni erano direttamente a disposizione». Il fitto lancio di pietre era accompagnato da grida e insulti quali: «Il fannullone a Dachau», «Il cane in custodia di sicurezza», «Esci di casa», «Vogliamo vedere il nostro vescovo», «Caro vescovo, sii carino, mostrati al balcone», ecc. La folla fu valutata dal Vicario generale Buchwieser in circa settanta persone, tra le quali vi erano anche giovanissime ragazze e membri di Hitlerjugend e di S.S. Riferisce Buchwieser: «Il pavimento [della cappella] era pieno di schegge. Singoli mattoni erano arrivati perfino alla parete opposta. Con la violenza si cercò inoltre di sfondare il portone per mezzo di una pesante trave, fatta scorrere su una carriola. Una donna, la quale cercava di dissuadere i dimostranti da ulteriori tentativi di sfondare la porta dicendo loro: “Non ha nessun senso, non è neppure dentro” fu gettata a terra e picchiata a sangue. Solamente l’arrivo di una pattuglia di Polizia, giunta in aiuto di un’altra già presente sul posto ma impossibilitata a intervenire, riuscì a riportare l’ordine e a impedire ulteriori violenze.

Cerchiamo di riprendere il discorso.

Oltre ai miei blog pricipali, non ho avuto molto tempo, e me ne scuso.